«FUGGIRE?  PERCHÉ  FUGGIRE?
PER  ME  FUGGIRE  È  COME  DISERTARE! »

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Pasqua di sangue a Inhassunge…
Fra Giocondo Pagliara, in quegli stessi concitati momenti, mi scriveva la seguente lettera trovata, riordinando la casa qualche giorno dopo, tra le macerie che avevano lasciato i guerrilheiros:

«Inhassunge, Pasqua 1989.
Caro Francesco, oggi siamo stati attaccati dalla Re.na.mo che sparava prevalentemente da Mukupia e dintorni. Noi abbiamo la consolazione di avere Camillo con noi; consolazione nel senso che la Re.na.mo si sarebbe accontentata della borsa famosa di P. Camillo (essendo lui l’economo della diocesi!). Fino alle 11.08 non è accaduto nulla di grave, ma non abbiamo potuto celebrare la Pasqua con i fedeli…

Ore 11.30: Camillo torna dalla perlustrazione. I guerriglieri (se sono essi) stanno svaligiando la casa di Clemente (ndr: la casa del cuciniere del convento).
L’attacco sembrava concluso alle ore 14.00; poteva segnare la morte gloriosa di Camillo, il quale vistosi fatto segno di due colpi di mitraglietta, si è gettato nel fiume “miles gloriosus”.

Ha perduto gli occhiali e l’orologio.
Ore 15.00: altri colpi, uno a poche centinaia di metri dalla nostra casa, Chimoio si rifugia in soffitta.
Buona Pasqua a te e a tutti.

Ps. Non sappiamo nulla di Zaccaria che sta a Olinda dal Giovedì Santo.
Siamo preoccupati per la sorte dei nostri ragazzi; nella confusione del mattino sono andati da qualche parte e forse non hanno potuto far ritorno a causa dei soldati.

Ingresso del convento di Malifate

15.33: intensità eccezionale di colpi dalla parte di Mukupia ... segnale di fine operazione? Camillo e Oreste si nascondono sotto un “bananeiro” per fare una partitella. Non si dimenticano le sigarette. Ore 15.54 colpi vicinissimi: le galline starnazzano, sono mica le oche del Campidoglio?
Ore 16.57: colpo di bazooka ... fine?»

Qui fu versato il sangue dei nostri missionari

Questa era l’atmosfera nella vostra casa la Domenica di Pasqua. Niente vi faceva presagire il tragico epilogo di qualche ora dopo!
La notte di Pasqua tu, fra Francesco Bortolotti, fra Oreste Saltori e fra Francisco Chimoio tentaste di dormire fuori casa su una coperta, in quello che pensavate un rifugio sicuro: il canneto e le piante di banane. Ma le zanzare non vi davano tregua. Infine decideste di ritornare in casa, forse perché le sparatorie si erano ridotte.

Gli animatori della missione intorno al luogo del martirio

La mattina del lunedì dell’Angelo fra Francisco Chimoio verso le 6.00 chiese il vostro parere su una sua possibile partenza. (Forse memore delle sofferenze da lui patite quando, dal 21 dicembre 1982 al 5 gennaio 1983 era stato sequestrato proprio dalla Re.na.mo nella regione di Morrumbala. Torturato crudelmente e condannato a morte dal commando della base dei guerriglieri dove era detenuto, ne ebbe salva la vita grazie all’intervento di un comandante suo conterraneo).

Il Mukurro: punto d’imbarco di fra Francisco Chimoio

Tu fosti il primo a dirgli che ti sembrava opportuno farlo e così, decise di allontanarsi con un canoa insieme ai due postulanti che erano rimasti in casa. Tu li accompagnasti al Mukurro dietro casa e augurasti loro buon viaggio, dando la spinta di partenza alla canoa.

Fra Camillo a pesca

Poi gli gridasti dietro: «Non ti allontanare troppo, cerca di capire cosa succede, poi vieni a informarci!»
Poco dopo, una mezz’ora circa, fra Francisco sentì una forte e lunghissima sparatoria proveniente dalla nostra casa…

Avenida dei Martiri

Nel frattempo, via terra, era arrivato un battaglione dell’esercito regolare, le F.A.M. (Forze Armate Mozambicane), che si appostarono sulla riva opposta alla nostra casa, sulla confluenza del Mukurro col grande fiume-canale. Approfittando della bassa marea, passarono a guado il Mukurro e da quella posizione cominciarono un attacco contro i guerrilheiros della Renamo, che erano schierati a ventaglio a poche decine di metri dalla nostra casa.     
Puoi immaginare che notte si passò nella casa dei Cappuccini di Quelimane!

Confluenza del Mukurro col grande fiume-canale

Mi raggiunse un grido strozzato...
La mattina presto del martedì 28 marzo, con fra Zaccaria Donatelli partii alla volta della  nostra casa di Malifate.
Non ci fu nessun posto di blocco a impedirci di arrivare a casa. Passammo dal municipio e salutammo il sindaco. Trovammo una pattuglia di militari molto vicini alla nostra casa che vennero con noi. Arrivati a casa, incontrammo una decina di animatori che cercavano di riordinare il macello che avevano lasciato i guerrilheiros.  A loro chiesi notizie di voi. Ma non sapevano ancora nulla.

 

Memoria dei martiri

Vedemmo la devastazione totale. Tutto sventrato. Fra Zaccaria entrò in casa. Io mi diressi presso il Mukurro. Dietro casa, l’atrio era seminato di bossoli, vidi anche dei resti di ordigni che non conoscevo, erano resti di bossoli di bazooka. Più avanti, sulla riva del Mukurro, tanti corpi nudi, uccisi a baionetta. Chi erano? Tutti giovani. Militari o guerrilheiros? Non credevo ai miei occhi. Li stavo contando, erano 17, quando mi raggiunse un grido strozzato: la voce affranta di fra Zaccaria che mi diceva che i militari avevano scoperto i corpi dei nostri fratelli.

Tumulo provvisorio di fra Camillo

Scosso e commosso, non voleva venire a vederli. Ci prendemmo per mano e insieme venimmo verso il vostro rifugio. C’eri tu, Camillo, a terra, bocconi e Fra Francesco Bortolotti, le sue braccia riverse sul tuo corpo. Un abbraccio che vi ha reso fratelli anche nel sacrificio della vostra vita. Non volli muovervi. Eravate vestiti. Avevate al braccio i vostri orologi e al collo le vostre collanine. Tu avevi gli occhiali. Avevate un lembo della coperta su cui foste sacrificati, girata su di voi.

Gesto di anonime mani pietose che avevano delicatamente coperto la vostra vita sacrificata da una violenza cieca, che non seppe distinguere uomini di pace, da uomini che di pace in cuore non ne hanno!
In ginocchio a terra presso i vostri corpi, pregammo perché il Signore risorto volesse accettare e unire alla sua risurrezione il vostro sacrificio, il vostro martirio-testimonianza di amore che non vi permise di scappare e di allontanarvi dal posto della vostra missione.

Filomena e Giacomino, fratelli di fra Camillo

Ma la testa penzoloni di fra Francesco richiamò la mia attenzione e volli capirne il motivo. Mi resi conto che era stato sgozzato a colpi di baionetta. Aveva varie contusioni sulla fronte, sulla testa e sulle braccia e un occhio era totalmente tumefatto. Forse era stato aggredito e colpito con il calcio del fucile, o in altro modo, e, probabilmente, una volta a terra, fu trafitto al collo con la baionetta.  Martire di Cristo!

Martire di Cristo anche tu! Aggredito con un colpo di baionetta (che tu forse d’istinto, avevi evitato sbilanciandoti all’indietro perché non ti colpisse il corpo), ti ferì la gamba destra e il piede; credo pure che, nonostante i gambali che indossavi, il colpo ti abbia tagliato l’alluce e l’altro dito del piede. Una volta caduto a terra supino, così ricostruisco la scena, qualcuno, a bruciapelo, ti colpì al cuore con un’arma da fuoco. Avevi una grande una ferita al petto! Fra Francesco ti ha visto morire. Dopo di te anche lui fu aggredito, colpito e ucciso cadendoti vicino con le braccia sul tuo corpo.
Queste cose furono confermate dall’autopsia.

Formazione degli animatori

Il vostro sangue aveva bagnato e benedetto quella terra nel nome del Signore Gesù, che vi aveva chiamato e mandato a testimoniare il suo amore fino alla fine!
Intanto arrivarono altri animatori. Silenzio. Preghiera. Commozione.
Poi, chiesi loro di non toccare i vostri corpi e di lasciarli sul posto. Stranamente ero partito senza macchina fotografica, che faceva sempre parte del mio piccolo bagaglio di viaggio.

Con fra Zaccaria non trattenemmo il pianto e insieme entrammo in cappella per rivolgere in preghiera davanti al Tabernacolo, muto, le nostre tante domande: Dove era fra Giocondo Pagliara? Dove era fra Oreste Saltori? Che ne era stato di loro? E perché tutto questo? Perché questa tragedia proprio a Inhassunge? Proprio ora che questa casa era diventata la prima casa di formazione per i giovani frati mozambicani? Perché il sacrificio della tua vita e di quella di Francesco? Perché?

Poi, come potemmo, riprendemmo le nostre motociclette e ritornammo a Quelimane tra due file di gente che abbandonava in massa l’isola di Inhassunge, ritenuta da te isola di pace. La nostra casa era piena di gente. C’erano tutti i nostri fratelli e tanti altri missionari e suore. Stupiti, ascoltarono il nostro triste racconto.

L’ultima carezza mozambicana a fra Camillo e a fra Francesco
Superato lo choc, decidemmo di riportarvi al più presto a Quelimane. Con P. Giuseppe Rufini, sacerdote dehoniano, segretario del Vescovo e tuo collaboratore nella conduzione della curia diocesana, verso mezzogiorno ritornai a Inhassunge. Trovammo i vostri corpi composti nella cappellina del noviziato. Potetti vedere lo strazio compiuto su di loro. Ebbi la possibilità di fare alcune foto. Pregammo con voi e per voi in una indescrivibile commozione…

Poi andai in giro per cercare il trattore delle saline (quello che era in missione era stato portato via dai guerrilheiros), che fortunatamente non era stato posteggiato in missione nel giorno dell’attacco. Trovai anche il trattorista Clemente Portugal e con lui decidemmo il tragitto da fare per andare a prendere i vostri corpi, dal momento che il trattore non poteva raggiungere la nostra casa: la strada era stata interrotta dalle piogge torrenziali di qualche giorno prima.

Benedizione della Memoria dei martiri

Componemmo i vostri corpi su due barelle di fortuna allestite dagli animatori, e le trasportammo a guado attraverso il Mukurro. Arrivammo finalmente alla  cappella della comunità di Matilde dove ci attendeva il trattore. Là caricammo le barelle e cominciò il vostro viaggio di ritorno a Quelimane. Un corteo di gente marciava dietro il trattore e vi accompagnava tra due ali di persone lungo la strada che vi salutavano, vi ringraziavano piangendo e pregando.

Molte volte il trattore dovette fermarsi per permettere alle centinaia di persone di darvi un ultimo sguardo, la carezza mozambicana del kuphata myendo e la riconoscenza per voi del bulumundira! Per voi buoni samaritani del popolo di Inhassunge!
Ho visto tutta questa commozione, tanta, di donne e uomini, giovani e bambini mentre per alcuni chilometri scortavo il trattore con la mia motocicletta.

Kuphata myendo: omaggio ai testimoni di Cristo

Poi mi avviai velocemente verso Quelimane per cercare le imbarcazioni che vi traghettassero dall’altra parte del fiume Bons Sinais. Tanta gente era assiepata presso il porto fluviale di Quelimane. Aspettava voi, martiri di Cristo, portatori di una eroica testimonianza di amore gratuito per la gente, un amore gratuito che ora la gente gratuitamente vi restituiva.

Novizi e postulanti caricano i feretro

Vi portammo in ospedale. Alcune suore infermiere lavarono pietosamente i vostri corpi e li composero per l’autopsia che fu eseguita dai dottori Padre Aldo Marchesini, sacerdote dehoniano, e Matteo Rebonato, medico del Cuamm, nostro amico che vi conosceva bene. Assistetti a tutta l’operazione. Un supplizio vedere i vostri corpi martoriati! Scrisse P. Marchesini:

«P. Francesco Bortolotti aveva violente contusioni sulla testa e sulla mano e avambraccio destro e una ferita alla gola, probabilmente di baionetta. Deve essere stato colpito mentre era per terra, svenuto per il colpo al capo.
P. Camillo è stato ucciso da un proiettile di arma da fuoco al petto. Anche lui ha segni di contusione e una ferita da taglio nella gamba e nel piede destro».
Terminata l’autopsia, i vostri feretri furono portati in cattedrale per essere vegliati, in preghiera, per tutta la notte.

La mattina dopo toccò a me, all’inizio della celebrazione del vostro funerale presieduta dal vescovo, fare una breve presentazione della vostra vita e delle vostre scelte. Descrissi come potetti ciò che avevo visto quando vi avevo trovato e, quando raccontai come eravate stati uccisi, dando gloria a Dio con la vostra vita, tutta l’assemblea scoppiò in un forte e lungo pianto.

Poi ripresi la parola per dire che, come discepoli del Signore Gesù, perdonavamo gli uccisori dei nostri fratelli, come Lui sulla croce aveva perdonato i suoi nemici. Confermai la nostra volontà di continuare la vostra testimonianza di amore. Il vostro sacrificio estremo possa intercedere da Dio la pace per questo martoriato paese.

Un vero fiume di gente accompagnò il vostro cammino fino al cimitero di Coalane. Dalla cattedrale di Quelimane, si snodavano 4 kilometri di bambini, uomini e donne in una processione piena di umana pietà. La maggior parte di loro vi accompagnava a piedi, altri su moltissimi mezzi di trasporto, tutti volevano dare l’ultimo saluto a voi amici del popolo mozambicano, grandi figli della Chiesa, umili frati cappuccini!

«Molte risposte sul tragico evento le ebbi da fra Giocondo... Ma molte domande ancora mi bruciano nel cuore...»

Fra Giocondo con G. Bedert, delegato della Croce Rossa Internazionale e sua famiglia.

Molte risposte sul tragico evento le ebbi da fra Giocondo Pagliara, (leggendo il suo diario scritto in diretta mentre gli eventi accadevano, vero reporter in zona di guerra!) 40 giorni dopo, quando lo trovai in Malawi alla fine del suo pellegrinare con i guerrilheiros della Re.na.mo, che lo avevano rapito.

Fra Giocondo con l’ambasciatore in Zambia Gianfranco del Pero e il console  in Malawi

In Malawi c’ero arrivato portato da una certa intuizione del cuore, spinto da alcune indicazioni degli amici della Croce Rossa Internazionale, della Save the Children, dell’Ambasciata d’Italia e del Portogallo a Maputo e della Nunziatura apostolica che mi suggerì di andare ad Harare in Zimbabwe per consigliarmi con il pro-nunzio apostolico Monsignor Patrick Coveney.

Fra Giocondo col giornalista Gian Micalessin

A tutti chiedevo che liberassero fra Giocondo in occasione della visita del Papa Giovanni Paolo II in Malawi (04-06.05.1989), facendo arrivare le mie lettere ai responsabili della Re.na.mo e a qualche centro di potere a cui questa organizzazione faceva riferimento. 

Il pro-nunzio apostolico Mon. Patrick Coveney

Da Harare mi diressi a Blatayre, in Malawi, per incontrare l’arcivescovo James Chiona. Tutti sapevano dei miei movimenti. Tutti mi accolsero bene, con attenzione. Tutti sapevano che fra Giocondo era stato liberato, ma nessuno mi  diceva dove fosse realmente. Essendo stato rilasciato dalla Re.na.mo in Malawi la mattina del 5 maggio, tutto conduceva a pensare che lo avrebbero liberato durante la visita del Papa.

Aereoporto di Fiumicino: Fra Silvestro e suo fratello l’attore Monteduro accolgono fra Giocondo

Qualcosa non funzionò o le varie diplomazie in azione preferirono posticipare la sua liberazione. Finalmente il 10 maggio mi informarono che era stato trasferito a Lilongwe. Accompagnato dal sacerdote comboniano P. Tiziano residente in Malawi, che aveva seguito tutte le trattative della liberazione di fra Giocondo, verso mezzogiorno lo trovai, finalmente, in un hotel in compagnia del signor G. Bedert, delegato della Croce Rossa Internazionale, e della sua famiglia.

L’abbraccio del P. Generale, fra Flavio Carraro

Quando rimanemmo soli nella stanza dell’hotel, fra Giocondo si liberò in un pianto dirotto e liberatorio mentre mi domandava notizie di te, di Francesco e di Oreste.
Il 13 maggio partimmo per Harare per incontrare il nunzio apostolico, monsignor Patrick Coveney. Il giorno dopo partimmo per Roma.

Col Papa Giovanni Paolo 2°

Durante il volo, parlai con lui e lessi quanto aveva scritto sul grande quaderno in cui aveva minuziosamente annotato, all’inizio minuto per minuto, ora per ora e poi giorno per giorno tutto il percorso del suo pellegrinaggio dal rapimento fino alla liberazione in Malawi.
 

Una volta tornato in Italia pubblicò la sua lunga cronistoria con il titolo Bazooka e sangue a Inhassunge – Quaranta giorni tra i guerrilheiros della Re.na.mo. Da lui ebbi le risposte alle domande sul perché e sul come del vostro sacrificio. Ma molte domande ancora mi bruciano nel cuore anche se la fede mi soccorre e mi fa dire che senza il versamento del sangue non c’è redenzione.

… lo trovai, finalmente, in un hotel

Da fra Giocondo appresi la tua bella professione di fede e identificazione con la vocazione che il Signore ti aveva donato. Forse furono le ultime parole cristiane che pronunziasti prima di dare la tua testimonianza di sangue.

Professione di fede di fra Camillo

Dicesti a fra Giocondo: «Fuggire? Perché fuggire? Per me fuggire è come disertare il campo, abbandonare il gregge, la mia gente! Rimango qui per confortare, essere segno di speranza, succeda quel che succeda. Sono qui. Il Signore Gesù non ci lascia soli!». Mi sembrava di sentire le parole del vescovo Oscar Romero: «Uno non deve mai amarsi al punto da evitare ogni possibile rischio di morte che la storia gli pone davanti. Chi cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo, ha già perso la propria vita».

Bulumundira: omaggio ai missionari

Appresi ancora che, quando la mattina del Lunedì dell’Angelo, tu, fra Francesco Bortolotti e fra Oreste Saltori decideste di uscire di casa per rifugiarvi nel vostro nascondiglio, dopo la partenza di fra Francisco Chimoio al quale si erano uniti i due postulanti, forse foste visti dai guerrilheiros mentre correvate per raggiungere il rifugio.

Fra Giocondo preferì rimanere in casa. Visse con paura il lungo scontro tra i guerrilheiros che si erano schierati a ventaglio davanti alla nostra residenza e l’esercito regolare che nel frattempo aveva attraversato a guado il Mukurro e si era schierato dietro il convento dalla parte del Mukurro e del grande canale dietro l’ala del noviziato. Sentì il vostro grido di dolore quando foste aggrediti dai guerrilheiros che, poi, entrarono in casa, sfondarono la porta della stanza di fra Giocondo.

Visita alle Saline

Lo trovarono mentre ancora, con lettere illeggibili, annotava quanto succedeva. Si presentò come missionario cappuccino. E, sebbene gli avessero risparmiato la vita, lo assalirono subito strappandogli da dosso l’orologio, le scarpe e non so quant’altro, finché fra Giocando li bloccò gridando e chiedendo chi fosse il capo per chiedergli giustizia.

Poi, quando seppe che fra Oreste era ancora vivo, gli andò vicino. Fra Oreste volle confessarsi. Offri la sua vita per la pace in Mozambico, per la chiesa mozambicana e per la crescita dell’Ordine Cappuccino in Mozambico. Era dilaniato da vari colpi di baionetta sulla scapola e all’ascella. Col permesso dei guerrilheiros, che nel frattempo si dedicavano al saccheggio della casa e a caricare tutte le vettovaglie sulla jeep e sul rimorchio del trattore, lo portò in casa e lo adagiò sul letto di fra Francesco Bortolotti.

Fra Oreste gli raccontò che, quando aveva visto avvicinarsi i guerrilheiros, aveva abbandonato il rifugio gridando a mani alzate: «Siamo missionari, non ci fate del male!». Ma essi lo colpirono con la baionetta e lo abbandonarono come morto. Poi si diressero verso di voi… e i vostri occhi furono spenti nel cielo azzurro di una luminosa mattina australe!

Una volta sistemato Fra Oreste, i guerrilheiros non gli permisero di rimanere con lui. Gli ordinarono di sedersi all’ombra di un albero finché, a saccheggio finito, verso le ore quattordici (proprio mentre io partivo da Quelimane per venire a Malifate!), fra Oreste fu caricato sul cassone della jeep e fra Giocondo fu fatto accomodare in cabina. Verso sera arrivarono al villaggio di Binganjira.

Fu lì che fra Giocondo si accorse che fra Oreste non era più sul cassone della jeep. Gli dissero che era morto poco prima. Fu accompagnato dove lo avevano scaricato e fra Giocondo lo seppellì avvolgendolo in un camice da messa. Così lo trovammo il 30 marzo.

«E proprio lì, sotto il palmeto e il bananeto ... trovammo la salma di fra Oreste»
Appunto il giorno dopo il vostro funerale, il 30 marzo, con fra Francisco Chimoio, fra Zaccaria Donatelli e fra Guido Felicetti, e il dehoniano P. Giuseppe Ruffini e un gruppo di  coraggiosi animatori che vollero accompagnarci, ci mettemmo alla sua ricerca. Gli animatori erano Clemente Portugal, Ernesto Mendiate ed altri che non ricordo più. Tutti di Inhassunge.

Fra Oreste ripara l’erosione del Mukurro

Preparammo le motociclette e, al momento di metterci in movimento, chiedemmo loro di guidare le nostre motociclette, essendo noi poco pratici del territorio. Ma essi subito si opposero dicendoci che se venivano, era per guardarci le spalle. La missione era difficile e pericolosa. Loro si sarebbero seduti dietro a noi in ognuna delle motociclette… Se qualcuno ci avesse attaccato alle spalle, non sarebbero morti altri frati…! Tutto il territorio di Inhassunge era un campo di battaglia. Non potevamo immaginare dove ci avventuravamo… Loro lo sapevano molto bene!

E proprio lì, sotto il palmeto e il bananeto ...

Straordinari! Eroici!
Muti, senza parole, noi frati obbedimmo e ci avviammo per una avventura veramente difficile.
A questo punto trascrivo quanto annotavo ogni giorno nella mia agenda. «Insistenti voci sulla morte di uno dei due frati rapiti, ci spinsero ad organizzarne le ricerche. Fra Guido e fra Zaccaria si diressero via terra verso la zona di Ussene e Binganjira mentre io con fra Francisco Chimoio e P. Ruffini vi andammo via fiume.

La polizia ci aveva avvisato che quella era una zona infestata di guerrilheiros!
I due gruppi erano muniti di radio rice-trasmittenti, che i tecnici italiani di vari progetti avevano messo a nostra disposizione. Anche gli amici della Croce Rossa internazionale erano presenti sul territorio di Inhassunge con le loro jeep accompagnandoci fin dove potettero, pronti ad intervenire per qualunque evenienza.  
Le informazioni che riuscivamo a raccogliere erano contraddittorie. Ma complessivamente confermavano la morte di uno dei due frati rapiti.

Arrivati ad Ussene trovammo molta gente che fuggiva verso Quelimane. Decidemmo di andare più avanti verso Binganjira, rassicurati dalla presenza dell’ultima postazione dell’esercito regolare. Ma non trovammo nessun militare. Finalmente un signore ci disse che poco più avanti aveva visto una specie di sepoltura molto fresca. Con lui arrivammo al posto indicato. E proprio lì, sotto le palme da cocco e tra le piante di banane scorgemmo un piccolo tumulo coperto di paglia.

Rimuovemmo la terra e subito, a poca profondità, trovammo la salma di fra Oreste Saltori coperta da un camice da messa. Proprio in quel momento ci fu un intenso scambio di tiri di armi da fuoco che ci terrorizzò e ci stendemmo tutti a terra.

A poca distanza trovammo la jeep della missione

Quando tutto tacque, apparve una pattuglia di militari che ritornava alla sua postazione. Saputo il motivo della nostra presenza e visto il tumulo del frate, ci lasciarono in pace e ci dissero che a poca distanza da noi, poco oltre una bassa allagata, si trovava la base dei guerrilheiros con i quali avevano avuto la sparatoria  che ci aveva sorpreso.

Dopo il grande spavento, via radio comunicammo ai frati di Quelimane il ritrovamento di fra Oreste, chiedendo ancora di organizzarsi per il trasporto della salma.
Nel frattempo perlustrammo un po’ la zona intorno e a poca distanza trovammo la jeep e le due motociclette della missione. Una era la tua, Camillo, l’altra era di Fra Francisco Chimoio.

… e le due motociclette della missione

Proprio in quel punto avevano bivaccato i guerrilheiros e, la mattina dopo, prima di ritirarsi verso la loro base, avevano bruciato tutto ciò che non serviva più a loro uso».  

Chissà perché (anzi, a dir la verità il perché c’era) mi venne un lampo di memoria e una voglia improvvisa di inginocchiarmi sul tumulo di Fra Oreste insieme a fra Francisco Chimoio. Pensare e pregare.

Fra Francesco Monticchio


Fra Bruno in bacheca